Le forze di sicurezza fanno fuoco sui manifestanti in Iran 16/09/23

Iran, è il giorno di Mahsa, arresti nel Kurdistan e spari sui manifestanti a Teheran
Nel giorno del Mahsa Day globale, manifestazioni si svolgono in tutto il mondo dall’Australia alla Corea del Sud, in Italia a Roma e Milano, mentre in Iran la città di Saqqez, quella d’origine di Mahsa Jina Amini, è blindata dai pasdaran. La tensione è altissima, anche in altre città del Paese, tra le forze di polizia e i cittadini che vogliono rendere omaggio alla loro eroina morta un anno fa, a causa del velo messo male.
Tutto il Kurdistan iraniano, zona a nord ovest del Paese dove vive la maggior parte della minoranza curda, è presidiato dai pasdaran in motocicletta, i negozi sono in sciopero, migliaia le telecamere di videosorveglianza. I social media dove corre la protesta parlano di arresti di massa nel Kurdistan, a Marivan e Sanandaj e di spari a Teheran da parte della polizia sui manifestanti radunati attorno a Piazza Azadi. “Pianificavano di creare il caos” dicono le autorità il cui obiettivo è quello intimidire i manifestanti e di evitare disordini.

Le forze di sicurezza fanno fuoco sui manifestanti in Iran 16/09/23
Nonostante i sistematici blocchi di internet, la rete di attivisti “1500tasvir” pubblica un video dove si vedono manifestanti gridare slogan per Mahsa Amini, radunate a bordo strada a Karaj, città non lontana dalla capitale Teheran.
La morte della 22enne studentessa è stata la miccia di una massiccia protesta antigovernativa, considerata tra le più importanti dall’insediamento della rivoluzione khomeinista del 1979. In un anno sono state quasi 600 le vittime e migliaia gli arresti.
Il padre dell’eroina curda, Amjad Amini, è stato rilasciato dopo un breve arresto durato un paio d’ore. Ora sarebbe ai domiciliari. “Arrestato mentre usciva dalla sua abitazione in via “Mamosta Hajjar” nel quartiere universitario a Saqqez ed è tornato a casa sua ore dopo”, scrive Iran Human Rights, aggiungendo che “la casa della famiglia è attualmente circondata da forze militari e di sicurezza”.
Nelle ultime settimane, l’uomo era stato convocato almeno quattro volte da varie agenzie di sicurezza per evitare che organizzasse cerimonie in ricordo della figlia.
A ottobre scorso in 40mila sfilarono verso il cimitero di Aichi dove è sepolta la giovane che ha acceso la miccia della rivolta del velo. La sua tomba era stata vandalizzata lo scorso maggio, oggi è pesantemente sorvegliata dalle forse di sicurezza. Oggi arrivano notizie che un’altra tomba è stata profanata a Khorramabad nell’ovest: è quella di un’altra eroina Nika Shakaramì morta a soli 16 anni durante una manifestazione.
In carcere ci sono altri due membri della famiglia, tra cui lo zio 30enne di Mahsa Amini arrestato martedì 12 settembre durante un raid delle forze di intelligence a Saqqez. Oltre a loro sono detenuti attivisti, giornalisti, avvocati e parenti delle persone uccise nelle manifestazioni dell’anno scorso. Iran Wire sui social riferisce che anche due professori della ragazza e che almeno 90 curdi sono stati arrestati a Kermanshah, a 500 km da Teheran.
Ma le minacce non fermano la lotta coraggiosa delle iraniane. Sette prigioniere politiche hanno inscenato una protesta nel famigerato carcere di Evin a Teheran.
“Non posso andare in strada, il mio cortile di protesta è quello del carcere di Evin”, ha scritto dal carcere la nota attivista per i diritti umani Narges Mohammadi, “in questo unico spazio possibile io e le mie compagne alziamo la voce per le proteste ‘Donna, vita, libertà”. In un comunicato rilanciato da Radio Farda, Mohammadi insieme ad altre prigioniere Azadeh Abedini, Sepideh Qalian, Shakila Monfared, Golrokh Iraei, Mahbobeh Rezaei e Vida Rabbani annunciano che da oggi siederanno nel cortile di Evin “per protestare contro la Repubblica islamica”. Le sette prigioniere politiche hanno chiesto al mondo di “essere la voce dei manifestanti, degli oppositori e del popolo”.
Lo stesso appello che a Rainews.it ha lanciato Pegah Moshir Pour attivista per i diritti umani e digitali residente in Italia, il volto iraniano più noto agli italiani.
Ieri l’annuncio da parte di Regno Unito, Stati Uniti e Canada di un nuovo pacchetto di sanzioni, anche a causa delle gravi violazioni di diritti umani sui manifestanti pacifici. I paesi occidentali mettono in atto “sanzioni inefficaci nel disperato tentativo di creare sedizione nella Repubblica islamica dell’Iran”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Naser Kananì.
In totale, dall’inizio delle proteste nel settembre 2022, l’UE ha già sanzionato 227 persone e 43 entità. L’alto rappresentante dell’Unione europea (Ue), Josep Borrell, ha esortato l’Iran a eliminare “ogni forma di discriminazione sistematica contro le donne” e ha chiesto a Teheran di applicare una politica coerente a favore dell‘abolizione della pena di morte.
Temi cari alla ong Amnesty International che denuncia “c’è ancora molto da fare per combattere la crisi dell’impunità e impedire ulteriori bagni di sangue”. In Iran ”c’è un intero sistema di potere che deve essere chiamato in causa per le violazioni dei diritti umani commesse” e la comunità internazionale deve ”rendersi conto che questi 44 anni d’impunità devono finire”. Uccidono, torturano, stuprano”. E per questo ”c’è da tenere alta l’attenzione chiedendo alla comunità internazionale di farsi sentire in occasione di questo anniversario”, ha detto Riccardo Noury portavoce di Amnesty.
Buona parte della popolazione del grande Paese del Medio Oriente, circa il 30 per cento secondo gli esperti, con il 73% della popolazione intorno ai 20 anni chiede riforme strutturali e soprattutto libertà e democrazia.
A Rainews.it abbiamo chiesto al Professore Pejam Abdolamohammedi, docente di storia politica e Medio Oriente se l’attuale compagine governativa potrà mai rivolgersi verso ideali di democrazia: